Stéphane, marinaio di mestiere e soccorritore con un gran cuore – Diario di bordo
AQUARIUS, lunedì 21.11.2016.
<< Per fare il soccorritore, bisogna avere un gran cuore >>. Anche se lo nasconde bene dietro la sua barba da pirata e i suoi occhiali da sole da marinaio, di cuore Stéphane Broc’h ne ha da vendere. In un mese e mezzo a bordo della Aquarius il giovane marinaio bretone ha salvato centinaia di vite umane nel Mediterraneo. La sua esperienza si sta avvicinando alla fine e non gli dispiace affatto tornare a casa nella Bretagna settentrionale, per poi da lì navigare altrove. << Non vedo l’ora di poter guardare il mare senza pensare a questa tragedia e al destino dei rifugiati >>, confida pensoso sul pontile della Aquarius.
Marinaio esperto, Stéphane Broc’h ha 33 anni ed ha l’abitudine delle navigazioni lunghe e fuori da comune. Nel 2013 ha trascorso 14 mesi nell’Antartico come meccanico volontario per la manutenzione di gruppi elettrogeni e la produzione d’acqua sulla base polare francese Dumont D’Urville. Prima di imbarcarsi sulla Aquarius per SOS Mediterranée, lavorava per la marina mercantile in Nuova Caledonia. Anche se ancora non lo sapeva, era già un attivista nell’anima.
<<Non avevo mai lavorato per una ONG, ma avevo già fatto esperienze nel sociale con dei disabili. Ho anche lavorato a bordo delle navi di padre Jaouen per la riabilitazione e il reinserimento nella società di tossicodipendenti >> racconta umilmente.
Certo, negli ultimi anni aveva già sentito parlare della crisi dei rifugiati, ma è soprattutto leggendo un libro sulla storia dell’immigrazione irlandese verso il Québec all’epoca della grande carestia dell’Irlanda che comincia ad interessarsi alla questione e scopre l’ampiezza della tragedia in corso alle porte dell’Europa. << Mi sono reso conto che c’è sempre una tratta marittima che gli immigrati possono prendere in prestito per cambiare continente. L’accoglienza e i mezzi di trasporto sono cambiati, ma la realtà resta dura e triste e questo non è normale >>. Scopre allora SOS Mediterranée, la quale era appena stata fondata, e si candida per diventare soccorritore. << In quel momento ero stufo del mio lavoro di marinaio nel settore del commercio, nel quale ci si dimentica facilmente del lato umano oppure di quello che succede nel mondo. In quel contesto il lato umano passa spesso in secondo piano ed avevo voglia di cambiare aria >> spiega.
Qualche mese più tardi, eccolo sulla Aquarius. Prima sul ponte, poi sul canotto di salvataggio numero due, quello incaricato del primo approccio con le imbarcazioni in difficoltà. << Era la prima volta che intervenivo durante un salvataggio in mare. Noi marinai seguiamo formazioni sulla sicurezza. E quando vediamo quei canotti lanciati in mano aperto contro il rispetto di ogni forma di sicurezza, centinaia di persone ammassate a bordo senza giubbotto di salvataggio, fatichiamo a crederci e ci chiediamo come si fa ad arrivare a quel punto e chi sono quelle persone che li inviano alla morte. Non sono dei criminali, è peggio! È impossibile che un canotto gonfiabile di quel tipo possa fare una traversata, non è umano mandare della gente in mare in quelle condizioni! >>, si indigna.
Serio, concentrato, durante i salvataggi non lascia spazio alle emozioni. Bisogna sbrigarsi, soprattutto quando un salvataggio che era di routine si complica. Come lo scorso 14 novembre quando 80 persone prese dal panico e ferite dalle bruciature provocate dalle fughe di carburante si sono buttate in mare. Un incubo per i soccorritori che non potevano lasciare spazio alle emozioni. Non c’era un minuto da perdere: bisognava velocemente lanciare delle decine di giubbotti di salvataggio, utilizzare tutti gli oggetti galleggianti possibili, tirare le persone fuori dall’acqua e portarle il più velocemente possibile a bordo della Aquarius. Alcuni avevano già bevuto molta acqua, altri inalato troppa benzina e avevano perso poco a poco i sensi o erano già in stato d’ipotermia.
Le emozioni si fanno largo dopo, quando meno se lo aspetta. Uno dei momenti più forti Stéphane l’ha vissuto nel corso di un trasferimento di immigrati da una nave di soccorso di Médecins Sans Frontières, la Dignity I. << La notte scendeva, il tempo era cattivo, gli interni della nave scricchiolavano, tutti erano distrutti, c’era un’atmosfera lugubre>> , ricorda. <<E d’un tratto, mi sono ritrovato con un neonato fra le braccia. Da quel momento non ho potuto fare altro che occuparmi di lui. In realtà, si trattava di una “lei”, una bambina, Naomi, di appena 10 giorni. CI siamo accoccolati in un angolino, le ho cantato una canzone cullandola. È stato un momento fuori dal comune, quel piccolo peso piuma tra le mie braccia, nel bel mezzo del Mediterraneo, in quello scenario da film dell’orrore >>. Al momento dello sbarco, Stéphane ha ancora la bambina fra le braccia.
<< Questo è il momento che trovo più intenso: quando le persone che abbiamo salvato in mare mettono per la prima volta piede in Europa, sanno che il loro viaggio è ben lontano dall’essere finito, che una lunga strada li attende e li guardiamo partire con la gola stretta dall’emozione”. La tensione cala dopo due notti senza sonno e il trauma di un viaggio tragico nel corso del quale cinque corpi sono stati trovati sul fondo di un canotto, raggiunti l’indomani sul ponte della Aquarius da quattro altri ripescati dopo un naufragio tragico. Gli occhi umidi, l’espressione chiusa, alcuni soccorritori si nascondono per non sciogliersi in lacrime davanti agli altri. Stéphane rimane in piedi, solido. Va a controllare le previsioni del tempo, pronto a ripartire in mare e soccorrere altri naufraghi.
L’inerzia dei governi, la tragedia quotidiana dei rifugiati nel Mediterraneo che prosegue senza che nessuno faccia qualcosa per arginarla, lo manda su tutte le furie. È una situazione triste, terribile. << Sul posto siamo costretti a confrontarci con la realtà dei fatti e ciò fa dubitare della razza umana >>, dice. << I mezzi mediatici, finanziari e politici esistono per far sì che le cose cambino, perché le persone che fuggono da casa loro non siano obbligate ad arrischiarsi in questo genere di traversate estremamente pericolose. La migrazione è un fenomeno che è sempre esistito, dovremmo essere in grado di evitare di arrivare a questo punto ormai >>.
Arrivati al porto di Catania, la sua esperienza si conclude. Prima di lasciare la nave, deve passare a prendere il suo passaporto dal Capitano. << Un giorno, dopo un salvataggio di 722 eritrei a bordo di un’enorme barca di legno, mi sono reso conto che con il mio passaporto francese ho potuto viaggiare in tutto il mondo e loro no. Non ne hanno il diritto. E allora mi sono chiesto: perché noi abbiamo il diritto di andare dove vogliamo e loro no? È ingiusto ed egoista >>.
L’ora di partire verso altri orizzonti è arrivata, per Stéphane. Non sa quando, ma vuole tornare a bordo, un giorno o l’altro. Nel frattempo, a quelli che restano sulla Aquarius, lascia il ricordo delle sue previsioni metereologiche quotidiane, del suo dire “a good window for rescue “ pronunciata con un forte accento francese e della sua franchezza. E soprattutto una raccomandazione: “fatelo con il cuore”, si comincia da lì per cambiare il mondo.
Testo: Mathilde Auvillain
Traduzione:Flavia Citrigno
Photo credits: Susanne Friedel/SOS MEDITERRANEE – Andrea Kunkl/SOS MEDITERRANEE
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