Diario di bordo – G16 – A pelle

Diario di bordo – G16 – A pelle

Qualcosa è cambiato sull’Aquarius.E non solo il tempo. Un grande freddo —  livello 7 sulla scala di Mr.Beaufort–,onde alte 5 metri,vento da 50/60km/h, la schiuma bianca soffiata nelle scie, e onde frangenti. La nave sale,scende,rulla e le passerelle sono popolate da uomini che barcollano, le braccia allargate come degli alcolisti di primo mattino. No, non è questo mare che disturba. Piuttosto un sussulto che viene da dentro. La fiamma è sempre là, la volontà di fare intatta. Salvo che nel frattempo l’Aquarius ha dato asilo a 74 rifugiati. E quello che hanno detto, il poco che hanno lasciato trapelare, a spizzichi, sul loro calvario, in cattivo francese o inglese, la gola serrata, o peggio, in tono apparentemente distaccato, ha messo l’equipaggio di fronte alla realtà dell’orrore. Da allora, ognuno e più silenzioso. E sa che ogni salvataggio porterà con sé il suo carico di schiaffi. Patrick, il nostro fotografo,si chiude a volte nella sua cabina. Lui lo sapeva già. Sul suo schermo,due foto. Una, di primo mattino, grigiastra, colore della plastica dello “Zodiaco” dell’ultimo salvataggio; l’altra, in bianco e nero, di una giunca nel mare di Cina, affollata di boat-People vietnamiti, sormontata da un grande “SOS” nero scritto con olio del motore sopra un sacco di iuta. Era 28 anni fa, sul “Mary”, una nave noleggiata da un mecenate di Monaco. A Cergy-Pontoise, il giovane giornalista free-lance era diventato amico di Monsieur Thanh, immigrato qualche anno prima ed diventato quadro di una società nel settore alimentare. Conosciuto il progetto nel mare di Cina, Patrick si era precipitato. Aveva appena vent’anni. In un mese, il “Mary” soccorse 327 uomini, donne e bambini. Una volta sbarcato, un po’ suonato, il giovane fotografo aveva fatto rotta verso la Romania,la Somalia, la Cambogia, e il Burkina Faso. Ma all’epoca il settore umanitario non pagava. Due bambini da mantenere, un

posto a Nice-Matin, un altro a Ici-Paris, dai boat-people al “people” (le riviste patinate, NDT), e questa foto che guardava sovente, in bianco e nero, lo stesso colore del tatuaggio che si è fatto fare sulla spalla destra: “SOS Boat-People. 1988” Oggi eccolo nel Mediterraneo e sull’Aquarius.I suoi capelli e la sua barba sono diventati bianchi. Ancora una volta, degli uomini alla deriva sull’acqua. Tuttavia non li si chiama “rifugiati” ma “migranti”.E quando li hanno sbarcati a Lampedusa, Patrick il fotografo ha avuto una stretta al cuore nel vedere le macchine della polizia a fianco delle ambulanze della “Misericordia”.I rifugiati vietnamiti circolavano liberamente nei campi dei rifugiati dell’isola di Palawan nelle Filippine. I nostri africani migranti, loro, attenderanno la loro sorte in un campo di detenzione sorvegliato dai Carabinieri. Da allora, Patrick passa un po’ più tempo di prima nella sua cabina, ad editare le foto. Ha diviso il suo salvaschermo in in due, la giunca della Cina da un lato, lo Zodiac dall’altro. Pensa spesso al suo amico, M.Thanh,oggi scomparso. E ha giurato di farsi tatuare, al primo scalo, un secondo “SOS” sulla spalla sinistra.

 

Aquarius 13 marzo 2016
Jean-Paul Mari

Fonte -> http://www.grands-reporters.com/Journal-de-bord-SOS-MEDITERRANEE.html