Non sapevamo tutta la verita, che in libia odiano i neri
Testimone:Donna della Nigeria, 26 anni *
E’ una donna bella, con un bambino in braccio di tre mesi che sta allattando mentre mi racconta alcune vicende della sua vita.
Ha due bambini di otto e quattro anni che ha lasciato nel suo paese con sua madre, ha deciso di non portarli con sé perché sapeva che la Libia era un paese troppo pericoloso, ma è voluta partire perché pensava di andare di andare in un paese ricco dove avrebbe trovato facilmente lavoro.
Racconta che la sua vita in Nigeria era veramente difficile, lei stava in un villaggio con la sua famiglia, la mamma e i suoi quattro fratelli, suo papà è morto. Sua madre ha sofferto molto perché non poteva dar nulla da mangiare ai cinque figli, lei è la più piccola.
Non avevano nulla, nemmeno la casa e vivevano per strada con pochissimo cibo e acqua, se si ammalavano non potevano essere curati, “Se non si hanno soldi nessuno ti cura”, racconta. Sua madre continuava a piangere per questo, ha sofferto moltissimo.
Tuttavia, sua nonna è riuscita a pagarle gli studi nel nord del Paese, dove viveva. Finiti gli studi, è ritornata al suo villaggio per lavorare e aiutare la sua famiglia. Si è sposata a vent’anni con un uomo di trentadue, scelto dalla madre.
La vita ha continuato ad essere molto faticosa, erano poverissimi e così hanno deciso di andare in Libia.
Sono partiti da Agadez nel 2016, la traversata nel deserto è durata un mese. Dice: “oh no no, non posso dirti quanto sia stato duro, senza cibo né acqua, ci spingevano, ci picchiavano e ci derubavano di tutto. Ho visto vendere ragazze per le madame (ndr cosi sono chiamate le donne che gestiscono la prostituzione). E’ stato terribile!”
Continua a raccontare: “Non sapevamo tutta la verità, che in Libia odiano i neri, non li vogliono e molte volte gli sparano. Mio marito è stato ucciso dai libici”.
Mi racconta che a Tripoli suo marito lavorava come operaio per un’impresa che costruisce case, lei non lavorava perché era in gravidanza. Per guadagnare qualche soldo, vendeva cherosene nelle bottiglie di plastica lungo la strada, ma non è mai stata pagata.
Racconta che era pericoloso stare fuori casa, c’erano sempre uomini che sparavano, le persone venivano uccise senza un motivo, l’unica cosa che era chiara a tutti è che i libici odiano i neri e rubano qualsiasi cosa.
Mi racconta che una volta aveva con sé il bambino in braccio e alcuni libici l’hanno fermata intimandole di dare loro il bambino. Lei l’ha stretto forte a sé e ha iniziato a correre veloce, riuscendo a fuggire.
Mendo di un mese fa, il 20 aprile di quest’anno, hanno sparato e ucciso suo marito per strada insieme a molti altri uomini e donne. Lei è scappata correndo e pregando ed è stata aiutata da alcuni uomini nigeriani che hanno preso lei e il suo bambino e l’hanno portata con loro alla partenza delle barche per l’Europa. Ha pagato 1.500 Dinar per il viaggio.
Racconta che è stata portata in una grande casa dove c’erano migliaia di persone, una sopra l’altra, che non era facile stare lì, i guardiani erano armati, hanno picchiato lei e suo figlio. Vedendola sola, alcuni degli uomini che erano li l’hanno aiutata a resistere.
Non si ricorda il nome del luogo da cui sono partiti per mare, era venerdì notte e c’erano 120 persone sul gommone bianco. Ha visto solo uomini che lo spingevano in acqua e poi correvano via. Lei era seduta in basso, erano uno sopra l’altro, qualcuno era seduto sulla sua testa, molti vomitavano e anche lei, nonostante il mare fosse calmo. Suo figlio piangeva insieme a tutti gli altri. Ha pregato dio di arrivare viva con suo figlio.
Le chiedo cosa sogna per il suo futuro, mi dice che vuole lavorare e mandare suo figlio a scuola come ha fatto con gli altri. Ma poi le vengono le lacrime agli occhi fino a quando scoppia in un pianto, mi dice che piange ogni giorno per suo marito e che ha paura di andare in un posto che non conosce senza di lui.
Il nome del bambino è stato dato da chi li ha aiutati a scappare: Success. E’ stato dio a darmi questo bambino, lui mi ha salvata.
(*) nome nascosto
Autrice: Francesca Vallarino Gancia – Testimony Collector
Foto: Francesca Vallarino Gancia
Editing: Natalia Lupi
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