L’attesa – Diario di bordo
AQUARIUS, mercoledì 09.11.2016.
La goccia di caffè rotola sul fondo della tazza, spinta dalla danza delle onde.
Sono le 5.53, l’orizzonte è calmo, una leggera brezza soffia da est e solleva il mare.
Il sole si leva lentamente dall’acqua, come è solito fare su questo mare sognante ; la foschia nasconde ancora le terre aride del sud.
L’equipaggio è ancora sonnolento, non si sente rumore per i corridoi.
Sul ponte, il radar effettua i suoi giri sulla distesa blu, identificando solo i mulinelli provocati dalla nave.
I numerosi binocoli aspettano nel loro posto di riposo, con le lenti che brillano, lucidate dalla sera prima.
Sono lì a portata di mano per gli osservatori e tra poco ingrandiranno la visione delle cose : i gabbiani sembrano albatros, le increspature onde lunghe, l’orizzonte sembra lì sulla prua…
Al centro del ponte, un pannello elettronico complesso proietta i suoi codici tra i due schermi dei radar.
L’area illuminata appare vuota e solo la scia verde della nave, a forma di triangolo, disegna dei va e vieni a trenta e a venti miglia dalla costa.
Non ci sono altri segni di vita vicino a noi, si fa per dire, dato che sono presenti delle petroliere di 200 metri.
I soli mercantili che possiamo pensare di avvistare battono bandiere del Medio Oriente. Il resto del mondo è lontano.
Ad un certo punto la radio annuncia alcune navi sul percorso, hanno dei nomi evocativi : “Save the Children“, “Proactiva Open Arms“, “Argos Rescue Zone“, rappresentano la cittadinanza europea che si mobilita per il bene dell’umanità. Altre navi, dall’aspetto più severo, sono appostate, quasi invisibili ; iniziano a prendere forma tra la bruma grigiastra, simili a fantasmi.
E ci sono coloro che non possiamo ancora vedere, coloro che sta cercando il nostro equipaggio, gente perduta in questa immensità…
Una strana macchina da scrivere in un angolo della stanza, nascosta da un pesante tendone, resta silenziosa. Il suo nome è Navtex, serve per trasmettere informazioni marittime, è il messaggero delle nostre operazioni.
Come il canto di un gallo risvegliato dall’alba, viene annunciato il momento tanto atteso, quel momento in cui i cuori battono forte, in cui l’adrenalina pervade tutti noi…
Dall’altro capo della linea ci chiama il centro di comando di Roma.
Sul ponte, il capitano, alzatosi molto prima del Sole è proteso sul tavolo delle carte nautiche.
La luce ocra della lampada illumina il riquadro del foglio numero “3403“, scritto a matita con segni ed annotazioni. Con numeri scritti e poi cancellati.
Pensieroso, con la matita nella mano destra e il compasso nell’altra, controlla le miglia che ci separano dai diversi punti strategici.
Poi, con lo sguardo concentrato e la mano ferma, senza nessun segno di timore, traccia là per là una nuova rotta per la sua nave e i suoi ospiti.
Qua e là si leggono nomi noti : Misrata, Tripoli, Sabratha; città chiave, sinonimi della fine di un viaggio e dell’inizio di un’altro per queste povere anime in pericolo.
Il secondo, con un caffè nero in mano, monta per il suo turno, interrompendo il silenzio dell’alba e offrendo un po’ di riposo al suo superiore.
Vengono scambiate alcune parole in una lingua dell’Est Europa, dove la politica attuale non soddisfa questi ufficiali. Questi uomini non rappresentano l’ideologia dei propri Paesi e sembrano sfidarla con l’incarico che hanno scelto di svolgere.
Il capitano si toglie gli occhiali e, strofinandosi gli occhi, si ritira per qualche ora, sparendo giù per le scale ancora in ombra.
L’ufficiale avanza verso gli oblò, fissa l’orizzonte, dalla sua espressione non traspare nessuna emozione.
Si porta il caffè fumante alle labbra. Beve.
Con passo pesante torna verso i suoi schermi, bofonchiando in Inglese, con un forte accento dell’Est Europa “New day, same shit“ (Un nuovo giorno, la solita merda).
Sempre sul ponte è presente, non lontano dall’ufficiele, un membro dell’équipe SAR.
Cittadino medio, marinaio, soccorritore, preso da una voglia incredibile di guardare la morte negli occhi, nell’Europa del sud ; eccolo in posizione, in agguato.
Concentrato verso l’orizzonte, non distoglie lo sguardo da sud, abbozza un sorriso per una battuta sarcastica del suo compagno di squadra.
Poi afferra il suo binocolo, i gomiti sono poggiati sul davanzale dandogli stabilità, il suo sguardo determinato si immerge negli oculari, esplora lentamente l’orizzonte, il respiro è sospeso, mentre cerca i minimi segni di movimento, come un cecchino, dimentico di tutti i suoi sensi per concentrarsi esclusivamente su quello della vista. Quando pensa di aver avvistato qualcosa le sue braccia s’irrigidiscono come delle rocce, le sue pupille lottano con il sole abbagliante. Sa di perdere un obiettivo prezioso, sono 120 vite che non riesce ad individuare. Si ferma un momento per permettere all’onda lunga di far risalire il punto che è stato assorbito dall’oscillazione delle onde. Niente. Sospira, riprende il suo lento spaziare, scrutando l’orizzonte. Dopo pochi minuti distoglie lo sguardo dal binocolo, si raddrizza, fa passare il formicolio dalle braccia, fa scrocchiare il collo. Niente.
Mentre l’osservatore si stira, il Mediterraneo gioca le sue carte, per la macchina da scrivere è venuto il momento di cantare. Quindi fa uscire la sua voce migliore, con un suono stridente strappa l’equipaggio alla quiete del mattino.
Il cuore dei due uomini fa un balzo, le pulsazioni aumentano, una scarica elettrica si propaga lungo le loro braccia, il collo e le gambe ; scompaiono le occhiaie.
Il secondo, con un gesto deciso, prende il foglio stampato nello stesso momento in cui il capitano esce dal buio del corridoio, senza affanno.
I due ufficiali si scambiano il foglio, con lo sguardo immerso in quel linguaggio in codice, lo pongono sulla scrivania.
Il gruppo SAR, con la rapidità di un topo, sgattaiola tra gli ufficiali in azione, pronto per il soccorso imminente. Anche loro leggono il foglio :
“…Numerose imbarcazioni a rischio di naufragio nella zona… Tutte le navi sono pregate di restare in allerta per portare assistenza …“
La giornata sta iniziando…
Testo: Antoine Lefebvre, membro del Team SAR
Traduzione: Sara Gisella Omodeo
Photo credits: Antoine Lefebvre
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