La Aquarius, un’avventura di umanità
AQUARIUS, venerdì 04.11.2016.
È un’avventura di umanità sorprendente.
Siamo lí, sulla nave, con tutto ciò che l’umanità può offrire di meglio come ragazzi e ragazze brillanti ed appassionati. Viviamo insieme su uno scafo di 68 metri. È un’esperienza affascinante !
Ci posizioniamo un po’ al di là delle acque territoriali della Libia e e ci diamo i turni al binocolo, in attesa di avvistare qualcosa che normalmente dovrebbe essere fuori dall’atteso.
Ripassiamo le operazioni di pronto soccorso, facciamo delle piccole presentazioni, durante le quali ognuno condivide la propria esperienza professionale, mostra le proprie competenze…ciò permette in genere di imparare molto e non è solo un modo di raccontare cose interessanti…
Si gioca a carte, si naviga sui social network…
E poi, all’improvviso, degli esseri umani, venuti da lontano, da guerre, dittature, luoghi di fame di epidemie, appaiono di notte, in mezzo al mare, aggrappati all’ultimo mezzo per sopravvivere. La vista è surreale.
Personalmente, avevo pensato a questo incontro, mi ero preparato, ma è la mia prima esperienza diretta e a 34 anni, io che pensavo di averne viste parecchie, sono rimasto scioccato.
Ci appaiono dei poveri esseri scarni, ammassati, raccolti su se stessi, stretti gli uni contro gli altri, addirittura gli uni sugli altri.
A volte penso che ciò che ci protegge da tutto questo è la nostra ignoranza e che desideriamo ignorare perché la vista di questa gente fa vacillare le certezze della nostra vita confortevole.
Ma sono proprio lí, dopo anni allo sbando, di privazioni, di sofferenza, di umiliazione, deprivati di tutto.
In che stato sono! Le condizioni di viaggio sono terribili. Non ci sono parole. È un viaggio verso la morte. Ci sono fino a 730 persone su un’unica imbarcazione di meno di 20 metri. È un delirio! Davvero impossibile da immaginare, anche vedendoli non ci si può credere.
Solo il ricordo mi fa stare male, la mia mente rifiuta di registrare quest’esperienza, non può essere vero !
Risparmio i dettagli, se si può chiamarli cosí.
La speranza di sopravvivere si conta in poche ore e il loro calvario non è ancora finito.
Non hanno più nulla, se hanno conservato la dignità è poco, ma è sufficiente.
E in cinque minuti, dopo essersi guardati negli occhi e aver scambiato qualche parola, piomba la verità, come una mannaia : facciamo parte dello stesso pianeta.
Siamo simili, ci capiamo subito. Lavati, messi al riparo, ripresa la propria dignità, queste persone sembrano dei vicini di casa conosciuti. Possiamo parlare di tutto, sederci a tavola insieme, ridere e scherzare.
Maledetta la loro sorte ! Al diavolo il passato, la guerra, la violenza! Ora conta solo l’avvenire e…i bambini.
Non si fermano un’attimo, corrono, urlano, ridono, cantano, giocano, vogliono le coccole, fanno i capricci…la vita non aspetta !
In qualsiasi situazione i bambini sono vita.
Qual è la follia che ci porta a discutere se sia il caso di soccorrerli ?
E io sento che potrei essere uno di loro, disteso sul ponte metallico, duro e freddo di una nave tedesca, al riparo di un telone tenuto disteso con degli spaghi; a cercare di dormire arrotolato in una coperta termica, schiacciato contro un compagno di sventura, nutrito con le razioni di sopravvivenza.
Ho visto questi uomini fieri, tenersi stretti gli uni agli altri per dormire un po’ al caldo.
Potrei essere uno di loro e grattarmi, sognando di poter fare una doccia, dopo anni di una prigionia che non si può raccontare perché troppo lunga, troppo folle e in ogni caso ogni volta che ci provi le persone non fiatano, non possono crederci, tutto ciò supera la loro immaginazione e cosí non sai più se hai bisogno o voglia di raccontare.
È un’eternità che non ne puoi più e che continui malgrado tutto, allora bisogna ricostruire tutto, compreso te stesso.
Gli Africani parlano tutti tre o quattro lingue e ancora li rimproveriamo di esprimersi male in Francese o in Inglese…
Io non so nemmeno se avrei ancora voglia di parlare dopo aver vissuto tutte quelle esperienze terribili.
Lo guardo, lui gira la testa, i nostri sguardi s’incrociano …
Certo, capisco, non è giusto, potrei essere al tuo posto, tu potresti essere al mio; ho vinto la lotteria, non so come.
Sono desolato.
L’empatia con i migranti è stata un’esperienza che mi ha toccato.
Come possiamo metterci, anche solo un secondo, nei panni d qualcuno che ha subito una tale serie di disumanità…
Come riuscire a proiettare il proprio pensiero in una disperazione che ha radici nei villaggi africani e si estende alle metropoli europee, con tutte le implicazioni di traffici di persone, vita per la strada, prostituzione, traffico di organi, sfruttamento minorile, discriminazione, persino prigionia. Questi sono i destini tragici di cui io prendo solo coscienza venendo a contatto con coloro che ne sono vittime.
« Salvare delle vite », e sentirsi, ciò nonostante, impotenti davanti a tanta disperazione, è un paradosso che lacera lo spirito.
Per fortuna, c’è speranza, la libertà, la bellezza.
Ho sentito i canti di ringraziamento dei sopravvissuti, durati per ore, e il solo ricordo mi fa venire le lacrime agli occhi.
Vi potete immaginare queste donne e questi uomini che cantano preghiere per tutta la giornata, fino al tramonto, persino di notte, senza sosta, per ringraziare il cielo, la nave e i soccorritori che gli hanno teso la mano ?
È uno spettacolo, quasi doloroso, di cui mi ricorderò a vita.
Tra le persone che salviamo voglio pensare a coloro che riusciranno davvero ad ottenere una vita migliore, come meritano.
Quanti sorrisi, parole semplici e giuste, popolano ormai i miei ricordi, con colori vivi.
E i miei cari colleghi; senza di voi, ignorerei ciò che l’umanità produce di meglio.
Durante una simile avventura, i legami si stringono ad una velocità incredibile.
Mi sono bastate tre settimane per sapere che certe persone mi saranno care a vita.
È con forte emozione che ripenso alle persone che mi hanno dato tanto, con le quali ho condiviso tanto.
Sono persone che pensano al proprio prossimo, che danno senso alla nostra esistenza.
Niente di tutto ciò è possibile senza la più profonda volontà di vivere insieme.
Tutti noi abbiamo sentito questa missione sulla nostra pelle e attraversato momenti di dubbio.
A volte abbiamo bisogno di esprimere i nostri sentimenti, per trovare il conforto di orecchie benevole e comprensive.
Sono questi legami che si creano a permetterci di continuare.
« Essere uniti », sulla Aquarius, è una scelta ed una dimostrazione.
A volte bisogna ricordarsene :
Ragazzi !
Lì siamo fondamentali, salviamo vite !
Cosa si può fare di più bello ?
Di certo è un lavoro giusto !
Ho stretto le mani di alcuni ragazzi che mi hanno ringraziato per averli strappati alla morte.
Conservo tutto ciò nella mia mente. Questo vale la fatica fatta 1000 volte.
Dopo questa missione mi sento rinato !
Alla fine conservo un sentimento insieme pieno e duraturo di gioia e di fratellanza.
Per questo ho voglia di continuare, di continuare a parlare, di scambiare sguardi, di andare incontro all’altro, perché l’unica cosa che conta per me è che siamo tutti legati.
Quando vedi ciò che abbiamo fatto sei obbligato a credere nell’umanità.
Altrimenti spiegatemi come Inglesi, Francesi, Canadesi, Tedeschi, Scozzesi, Irlandesi, Palestinesi, Nigeriani, Ganaensi, Filippini, Bielorussi, Russi si trovino tutti lì a lavorare insieme!
Atei, cristiani, mussulmani ed ebrei!
Perché si, è questo l’equipaggio della Aquarius !
Come succede che tutte queste persone, provenienti da tutto il mondo riescano non solo a lavorare insieme, ma anche a capirsi ?
È che ci siamo trovati tutti davanti alla stessa situazione orribile e la reazione è la stessa: ci sentiamo coinvolti e toccati, siamo rattristati e sconvolti e siamo orgogliosi di essere lì a portare soccorso.
Non c’è niente di più semplice di dare prova di umanità, basta solo essere tutti sulla stessa nave.
Di ritorno in Francia, mi sono sentito completamente spossato.
Ed è stato in quel momento che mi hanno colpito i dibattiti sterili e talvolta nauseanti che si tengono e ho capito il carattere essenziale della nostra missione.
Allora, a coloro che parlano senza sapere e ai miei colleghi che restano a bordo, desidero dire : niente può sminuire la missione della Aquarius, di SOS Méditerranée e di Médecins sans Frontières.
Noi siamo al di sopra di tutto ciò.
Perché la nostra nave serve ad infrangere questa strana distanza che separa gli esseri umani.
Guardate bene la Aquarius, guardate attentamente.
È la concretizzazione di un progetto magnifico, nato dall’impegno di tutto un gruppo di persone che lanciano allerte, di fondatori, di amministrativi, di donatori, di specialisti, di volontari e di uomini di mare.
Ciò che avete davanti è qualcosa di unico e di troppo raro, tuttavia realizzabile :
È una macchina che ci porta a viaggiare nella compassione…
Testo: Edouard Courcelle, ex membro del SAR team
Traduzione:Stefano Ferri
Photo credits: Fabian Mondl/SOS MEDITERRANEE
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