Testimonianza di un espatriato egiziano
(Salvato e trasferito a bordo della nave Aquarius dalla guardia costiera italiana. 28.03.2016)
Nota:
Lui (lo chiameremo Hamed) sembrava estremamente colpito dall’esperienza appena vissuta. I suoi occhi erano gonfi di lacrime mentre parlava. A confortarlo c’era un espatriato libico/siriano che aveva incontrato sulla barca.
Ho chiesto ad Hamed se accettava di essere fotografato. Ho ripetuto la domanda più volte e lui alla fine mi ha risposto con un “Sì”.
Durante la seconda notte passata sull’ Aquarius fu colpito da una forte colica renale, probabilmente causata dalla disidratazione, da problemi medici pre-esistenti e dall’ingestione di acqua contaminata. Appena sbarcato, riusciva a malapena a camminare. Il suo modo di esprimersi rimarcava i segni di un acuto dolore.
La testimonianza
Il mio nome è Hamed, non ho ancora 40 anni e vengo dalla regione del Sinai, in Egitto.
Dalla rivoluzione del 2011 la situazione in Egitto non fa che peggiorare. Sono stato costretto a lasciare il mio paese a causa della mancanza di lavoro, per riuscire a mantenere la mia famiglia, moglie e figli. Un giorno il mio capo convinse una dozzina di noi a lasciare il posto di lavoro in Egitto, per andare a lavorare in Libia. Ci spiegò che lì aveva delle ottime conoscenze.
Partimmo per strade diverse. Alcuni di noi decisero di entrare in Libia attraverso il Sudan, altri attraverso la Turchia. Ci avevano detto in Libia avremo trovato una situazione del tutto calma e tranquilla. All’arrivo trovammo edifici completamente perforati dai proiettili.
Sono rimasto un anno in Libia. Lavoravo in una fabbrica. All’inizio, per i primi tre mesi, la paga arrivava regolarmente. Poi velocemente tutto cambiò e radicalmente. Iniziarono a trattarci come schiavi e ad abusare di noi. Ci obbligavano a svolgere lavori di tutti i tipi. Invece di lavorare come previsto, ci destinavano allo stoccaggio di materiali e a lavori di costruzione. Il mio capo egiziano era protetto dalla milizia locale. Ci sfruttava senza temere la benché minima conseguenza. Il cibo mancava e l’acqua che bevevamo era sporca. Dormivamo dove lavoravamo, tutti insieme, tutti gli uomini che erano lì. Eravamo egiziani insieme a libici.
La situazione era estremamente insicura. Tutto quell’insieme di conflitti e di forza bruta della milizia locale producevano come conseguenza una situazione gravissima. Le persone erano costrette per sopravvivere a sbranarsi una con l’altra od a combattere. I combattimenti erano incessanti. I giovanissimi erano più armati degli adulti. Il rischio di essere bloccati a posti di controllo o di essere rapiti era sempre presente. Le armi che la gente possedeva erano molto potenti. Chiunque poteva pretendere di affermare di essere un poliziotto. Chiunque era corruttibile. Se riuscivi a corrompere qualcuno, potevi comprare qualsiasi cosa.
In Libia possono rapirti, detenerti in prigione oppure chiedere un riscatto in qualsiasi momento. Per alcune persone questa è l’unica fonte di guadagno. La vita per questa gente non ha alcun valore. Potrebbero ucciderti in ogni momento senza alcun motivo. Ciascuna zona è controllata da una diversa milizia. Il territorio è spartito tra le varie milizie. E’ un business pazzesco. Non hanno nessun interesse a ricostruire il paese.
Poco tempo fa mi hanno teso un agguato. Alcune macchine senza targa hanno provato a bloccarmi. Volevano catturarmi, ma sono riuscito a fuggire. E’ stata un puro caso, un vero colpo di fortuna! Dopo essere riuscito a scampare da quell’agguato, la situazione poi è diventata ancora più insopportabile.
Mi erano rimaste due sole possibilità: o quella di suicidarmi o quella di lasciare il paese. Ho quindi deciso di lasciare il paese il prima possibile. In Egitto non potevo però ritornare perché lì non c’era lavoro e la mia famiglia contava sul mio aiuto.
Questo è stato il mio primo tentativo di fuga dalla Libia. Per potermi permettere il viaggio in barca, ho dovuto vendere il mio telefono cellulare, lo avevo sempre con me. Non ho potuto conservare nessun numero tranne quello di casa. Ero convinto da questo tentativo di fuga sarei uscito morto. Non avevo con me nemmeno la carta d’identità. Il mio capo in Libia me l’aveva sequestrata. Alla mia famiglia ho raccontato che me ne sarei andato dalla Libia. Mia madre ha provato naturalmente a dissuadermi dall’idea. Ho dovuto così mentire e raccontare che avrei fatto il viaggio su una nave mercantile.
Per lasciare la costa di Tripoli c’erano quattro barche. Ciascuna barca può contenere, a gran fatica per starci e con grande pericolo, un massimo di 100 persone. Nonostante ciò i trafficanti, persone molto potenti e armate, riuscivano a caricare 135 persone per barca. Di solito chiedevano 1200 dollari libanesi (779 EUR) per il viaggio. Qualche volta il prezzo saliva a 1500 dollari (974 EUR). Altre volte, quando avevano necessità urgente di riempire le barche, il prezzo scendeva a 800, 500 od anche 400 dollari. Non aveva molta importanza per loro l’esito della traversata, perché i loro magazzini erano pieni zeppi di barche. Erano assolutamente consapevoli di mandarci a morire. Prima della partenza, due dei migranti a bordo sono stati istruiti dandogli istruzioni elementari sul modo di effettuare la traversata in mare aperto. A questi era spiegato come funzionava il GPS e poco di più. Poi li hanno fatti andare via, in mare. Questi trafficanti, corrompendo la polizia, riuscivano a far partire fino a 1000 persone al giorno.
Se rimanevi, rischiavi di morire. Se partivi, rischiavi di morire. Tanto valeva rischiare e partire. All’imbarco c’erano molti trafficanti con i loro fuoristrada 4×4, armati fino ai denti. Hanno anche sparato in direzione di un uomo: non lo hanno colpito. Eravamo circa 135 persone, ammassati letteralmente uno sopra l’altro.
Abbiamo lasciato il porto di notte, senza avere con noi né acqua né cibo. Ero terrorizzato.
Solo allora ho realizzato in che situazione mi ero infilato. Perché avevo deciso di entrare in quel buco infernale? Io avevo un giubbotto salvagente e con me lo avevano solo altre due o tre persone. Tutti gli altri passeggeri non avevano niente. Dopo qualche ora il motore si è piantato, si è rotto. Ci sentivamo spacciati in mezzo al mare. La gente piangeva, mentre le onde si infrangevano sulla nostra barca. L’esperienza di trovarsi in balia del mare è stata terribile. Mi sentivo perso. Aspettavo solo la morte. Pensavo a tutta la mia famiglia, che contava sul mio aiuto. Io invece potevo vedermi già morto. Il tipo di barca su cui mi sono imbarcato al massimo poteva fare una trentina di chilometri in mare. Lo sapevo sin dall’inizio. Il motore era troppo debole per poter riuscire a far percorrere alla barca con tutto quel carico una distanza così grande, dalla Libia all’Italia. Alla fine avevamo perso ogni speranza.
Sono passate molte ore prima che una nave italiana ci abbia avvistato e ci sia venuta a salvare. Ho provato e provo ancora adesso una gratitudine immensa per chi ci ha salvato. Sulla nave italiana la vita aveva un valore. Ci hanno trattato con molta dignità e rispetto. Ci hanno dato da mangiare e bere. Tutto ciò diversamente dai bruti in Libia che sapevano parlare solo il linguaggio delle armi. Eravamo rimasti a digiuno per 2 giorni interi. La gente sulla nave (L’Aquarius) ci sta trattando come esseri umani. In Libia eravamo solo schiavi.
Attraversare il mediterraneo è stato un viaggio al limite della morte. Non consiglierei mai a nessuno di viaggiare in questo modo. Dirò ai miei amici che sono rimasti in Libia di non rischiare le proprie vite per tentare la traversata. Non so però se ascolteranno i miei consigli. La gente lì e talmente disperata che è disposta a tutto, a qualsiasi costo.
Non posso ancora credere di essere stato salvato e di essere a bordo di questa nave. Questa esperienza è senz’altro la più difficile che abbia mai vissuto. Faccio fatica a controllare i miei pensieri. La scorsa notte non ho chiuso occhio. Ancora non riesco a capire se sono vivo o morto. Mi sento scosso. I pensieri non abbandonano la mia testa. Le immagini del viaggio non smettono di scorrermi avanti a gli occhi. Hanno provato a mandarci a morire!
Originale: Nagham Awada, Com Officer on the Aquarius (4/5/16)
Traduzione: Giorgio Baldelli (4/5/16) SOS MEDITERRANEE ITALIA