Tre famiglie in cerca di una vita migliore – La testimonianza

Tre famiglie in cerca di una vita migliore – La testimonianza

Data: 28 aprile 2017
MV Aquarius

Testimonianza:

Tre donne siriane.

Nel salvataggio del 28 aprile 2017, tra le altre persone, è salita a bordo di Aquarius un’intera famiglia siriana composta da tre sorelle con i rispettivi mariti e sette figli.

La testimonianza che segue è stata fatta insieme alle tre sorelle siriane che hanno voluto partecipare al racconto della loro storia. Siamo sedute in un angolo della grande camera chiamata “Shelter”, adibita appositamente per le donne e i bambini.
Le guardo tutte tre insieme, sono donne belle, coraggiose, piene di vita e di una forza vitale nonostante le condizioni estreme in cui hanno dovuto vivere e resistere alla traversata.

Le signore parlano siriano e arabo, il loro inglese non è fluente ma è sufficiente per capirci, sono molto collaborative e desiderose di raccontare, spesso cercano le parole in inglese sul telefonino per farsi capire meglio, ognuna ritorna con la mente in Siria e poi nella difficilissima vita in Libia. Nel frattempo, mentre noi discorriamo, i bambini sono accucciati vicino alle mamme, qualcuno dorme, qualcuno gioca e qualcun altro piange e viene allattato.
La prima sorella ha 26 anni e ha due figli maschi di 6 e 3 anni; la seconda sorella ha 29 anni e ha tre figli: una bambina di 6 anni e due maschi che hanno 4 anni e l’altro 4 mesi. L’ultima sorella ha 36 anni e ha due figli: una ragazza di 17 anni e un figlio di 23 anni.

Hanno lasciato la Siria nel 2011, poco prima della morte di Gheddafi. La vita in Siria era molto difficile, lo ripetono più volte “no work, no money, no house, no freedom, life was very dangerous”. Ricordano di quando i soldati sono entrati in casa loro con le armi, si sono fatti dare tutto quello che avevano e hanno portato via l’auto del marito di una delle sorelle e distrutto il posto in cui lavorava come meccanico.
Le prime due sorelle sono partite per la Libia nel 2011, il viaggio attraverso il deserto è durato una settimana. Al primo check-point li hanno derubati di tutti i soldi che avevano e nei seguenti controlli successivi i mariti sono stati picchiati perché non avevano più nulla da dare. Non sono stati uccisi perché le famiglie con i bambini vengono risparmiate.

Racconta una sorella: “I giorni nel deserto sono stati terribili, spaventosi, vedevamo i corpi morti sulla sabbia e avevamo paura di morite anche noi, i bambini erano molto piccoli e piangevano perché avevano fame e sete, poi non piangevano più perché erano troppo deboli”.

Arrivati in Libia hanno dovuto lavorare molto per restituire il denaro.

La sorella maggiore racconta di essere partita con il marito e i figli per la Libia un anno dopo le altre, hanno attraversato il deserto nel 2012 e poco dopo essere arrivati il figlio è stato picchiato, minacciato e obbligato ad andare alla scuola coranica per un anno, se non l’avesse fatto l’avrebbero ucciso.

Anche il marito è stato rapito dalle milizie libiche per essere arruolato come soldato. Dopo due settimane è tornato a casa ma viveva nella paura che lo riprendessero e la vita per lui era diventata molto pericolosa.

Una di loro si avvicina al mio orecchio e mi sussurra “noi non siamo mussulmani, siamo cristiani, e in Libia i cristiani vengono ammazzati. I libici ti fermano e per verificare se sei mussulmano ti chiedono di ripetere un pezzo il corano, mio figlio adesso lo conosce e alla fine si è salvato per questo.
Loro ti ammazzano per nulla, in Libia muori senza aver fatto niente. Noi andavamo in giro sempre velate, con il viso coperto e non uscivamo quasi mai di casa. Anche nostro fratello è stato preso e mandato a scuola di Corano, lui è riuscito a scappare e ora si occupa di diritti umani. Siamo stati minacciati molte volte per la nostra religione”.
Mentre lo racconta parla sottovoce e si guarda intorno perché nessuno l’ascolti.
Mi dicono: ”Noi siamo otto sorelle e un fratello: 4 sorelle sono ancora in Siria, non hanno soldi per andare via, le strade sono bloccate per fuggire e i nostri genitori sono troppo vecchi per affrontare un viaggio così lungo e pericoloso”.

Gli chiedo quando hanno pensato di partire per l’Europa e che cosa sperano di trovare: “Due anni fa abbiamo deciso che volevamo lasciare la Libia, non si poteva più vivere lì, non potevamo più tornare nel nostro paese e abbiamo messo molto tempo per guadagnare i soldi del viaggio. Non sapevamo nulla dell’Europa ma tutti dicevano che là c’è la libertà e la vita sicura”.

Una di loro si avvicina a me e un po’ vergognosa mi dice: “Io avevo moltissima paura del mare, non ero sicura di prendere la barca ma poi volevo stare con le mie sorelle e, comunque, non avevo altra scelta. Prima o poi sarei morta in Libia. Con noi doveva venire anche l’altra nostra sorella ma due giorni prima di partire è stata rapita da un gruppo di uomini armati su una macchina mentre camminava per strada. Non sappiamo nulla di cosa le sia successo, siamo molto preoccupate per loro”.

Hanno lasciato la Siria pensando di trovare una vita migliore in Libia, ora lasciano la Libia pensando di trovare una vita migliore in Europa.

Autrice: Francesca Vallarino Gancia
Ph: Francesca Vallarino Gancia/SOS MEDITERRANEE