E se su quel gommone ci fosse stato un vostro caro? – voci dal SAR TEAM

E se su quel gommone ci fosse stato un vostro caro? – voci dal SAR TEAM

Aquarius, sabato 21.01.2017

Fleur le Derff ha 26 anni, è originaria di Finistère (Bretagna,Francia) e lavora come tenente sui traghetti che fanno servizio sulla Manica. Fleur si è unita a S0S MEDITERRANEE dopo aver letto la testimonianza di uno degli operatori che avevano partecipato alle precedenti missioni di soccorso. Fleur si è imbarcata sull’Aquarius all’inizio di gennaio, spinta dalla voglia di saperne di più sulla gestione delle crisi, di scoprire il funzionamento di SOS MEDITERRANEE, l’organizzazione a bordo, ma anche di mettersi alla prova e andare incontro ai migranti ed ai rifugiati, andando alla fonte di questa tragedia. Ecco le sue considerazioni, dopo i primi soccorsi nel Mediterraneo.

“Cos’è un salvataggio? O meglio un “rescue”, perchè qui siamo di troppi posti diversi per non parlare che l’inglese.

E’ un punto sull’orizzonte,un segno sul radar, è il messaggio che vi dice di prepararvi, la tensione che si annida nella pancia, nelle braccia che si fanno pesanti, nelle gambe che all’improvviso si ricordano di esistere. La tenuta da indossare che vi rende ancora più grossi, ma anche più ufficiali visto che siete rossi, neri e gialli, visibili e simili agli altri.

Arrivate sul ponte, scambiate qualche mezzo sorriso con gli altri. Non sta bene far vedere troppo l’adrenalina, ma la sentite lo stesso, vi rassicura, per quel secondo, che siete vivi e che, in fondo, voi valete. Insieme ai vostri colleghi preparate il materiale, i RHIB (i gommoni veloci da soccorso), i giubbotti di salvataggio, il ponte, i kit di benvenuto che contengono coperte, sopravestiti, una razione di sopravvivenza e una bottiglia d’acqua.

Ecco, si inizia a vederla: una cosa rotonda e grigia o azzurra o nera… il colore è importante perchè chi ha partecipato ad altri salvataggi riesce a desumere dal colore la qualità del gommone. Gli azzurri sono i peggiori e questo è azzurro. Questo significa che il suo pianale è fragile, magari ha già ceduto, schiacciando già alcune persone. Questo fa prevedere dei morti. Non avete mai visto dei morti. Sapete che la morte esiste, ma finora si è tenuta lontana da voi, ha toccato parenti lontani o è rimasta nascosta dietro lo schermo della televisione. Vi domandate cosa si provi a ritrovarvi di fronte ad un cadavere, uno vero. Pensate di essere macabri, ma è nella vostra testa, quindi non è grave e poi tutti lo sono. Perchè non anche voi?

Salite a bordo del RHIB, vi allontanate dalla nave per avvicinarvi agli altri. Sono tanti, centinaia di vite in pochi e precari metri quadrati. Vi tendono la mano, poi ascoltano attenti quando Max, il coordinatore dei soccorsi, inizia a parlare. Ha un tono della voce rassicurante,dice che andrà tutto bene, che c’é una speranza per loro ma che non bisogna perdere la calma.

Dietro di lui, li guardate guardarlo. Sono talmente determinati a comportarsi bene, l’altro li salverà, l’ha appena detto, allora fate che gli altri si comportino come ha detto lui! Alcuni si alzano, gridano agli latri di tacere, aggiungendo caos. Allora Max indica a Ralph, il pilota, di far partire il RHIB, tutto torna calmo, perché si rendono conto che potremmo andarcene, lasciarli lì, che è meglio fare silenzio. Inizia la distribuzione dei giubbotti di salvataggio. Questo è il vostro compito: dovete aprire le buste e darli a Max che li passa a loro senza lanciarli, perché altrimenti si lancerebbero per prenderli e la calma relativa svanirebbe.

Va tutto bene, ascoltano, prendono i giubbotti di salvataggio e li passano agli altri. Max riprende a parlare, gli spiega cosa succederà adesso. E’ molto bravo, parla con educazione, potrebbe trovarsi in un confortevole salone ed invece è su di un RHIB davanti ad un grappolo di persone che all’improvviso potrebbe nuovamente entrare in panico. E’ anche importante riuscire a mantenerli in questo stato di pazienza improbabile.

Inizia il trasbordo. Max e Tanguy ne tirano fuori diciotto da quella trappola. Voi dovete sistemarli su RHIB. Quando avete finito, raggiungete l’Aquarius. Niente è cambiato in quello che vi siete lasciati alle spalle: là dietro sono ancora stipati gli uni addosso agli altri.

E poi si ricomincia, li raggiungete di nuovo, li rassicurate ancora. Per voi va tutto bene. Niente nel cuore e niente nella testa. Siete fieri della vostra forza, della vostra stabilità. In quell’istante potreste anche essere altrove, anche in un salone, a fare la persona interessante, sareste gli stessi. Questo finché il vostro sguardo cade su di uno di loro. Avrebbe potuto essere chiunque, è una barba di qualche giorno. Quei peli bianchi su di un viso abbronzato e all’improvviso non è più un anonimo perduto in mezzo ad altri , è vostro padre durante le vacanze. Questa barba è quella che lascia cresce quando non ha più bisogno di sembrare professionale, quella pelle e la sua abbronzatura è tutta la bellezza della Bretagna ad agosto.

E’ in quel momento che iniziate a crollare, per riprendere il controllo vi mordete la parete interna delle guance, non è il momento di mollare adesso, non per questo. Sapete che è impossibile, assolutamente impossibile, non è lui!e bisogna riprendersi, avete capito: RIPRENDERSI! Allora fate un respiro, un secondo e la Bretagna svanisce, insieme all’idea terrificante che avrebbe potuto esserci uno dei vostri cari su quel gommone fatto per rifuggire il mare.

Tornate concentrati, non è durato che lo spazio di un secondo. I trasbordi si susseguono, ecco che il gommone è vuoto, gettate uno sguardo all’acqua salmastra, alle scarpe che galleggiano, alle bottiglie di acqua vuote, non sapete cosa pensare. Il RHIB torna all’Aquarius, il soccorso è terminato. Sono tutti sani e salvi, tutto è andato bene. Quando l’immagine vi ritorna in mente, vi mettete a parlare per non farne menzione. Questa sarà l’unica cosa che ricorderete di questo salvataggio: i peli bianchi sulla belle abbronzata e l’abisso dentro di voi quando uno dei vostri cari prende il loro posto.”

Testo: Mathilde Auvillain

Traduzione: Francesca Ciardiello

Photo credits: Anthony Jean/SOS MEDITERRANEE

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Aquarius, martedì 25.10.2016.

“Time to shine! It is our time to shine!!” Sul ponte posteriore della Aquarius, ai primi squarci di luce del martedì mattina, mentre la nave entrava nel porto di Taranto, c’erano una dozzina di uomini che pregavano. Pregavano l’ Europa di avere pietà di loro.
“Questa è la nostra occasione per risplendere” dicevano, battendo le mani insieme – anche le mie seguivano le loro – con un largo caldo sorriso pieno di speranza. A bordo molti erano ancora convinti che la destinazione fosse Toronto, Canada. Questo mi ha riportato alla mente quando, all’inizio del ventesimo secolo, gli italiani lasciavano il sud Italia dagli stessi porti dove noi oggi sbarchiamo i nostri ospiti. Dal 1920, più di 4 milioni di italiani sono emigrati verso gli Stati Uniti, il Canada o il Sud America. La maggioranza di loro erano migranti economici.

La notte precedente, prima dell’arrivo in porto della nave Aquarius, le donne hanno lasciato il loro  riparo intonando insieme un “Alleluia”. La festa sfrenata sul ponte, con le sue danze frenetiche, sembrava ai nostri occhi come una sorta di esorcismo dopo tutto il dolore, la violenza e la paura che hanno conosciuto in Libia.

“Siamo così felici stanotte” mi ha detto una giovane ragazza, in piedi sopra ad uno scatolone, battendo le mani gioiosamente. Ero felice di vedere vicino a lei anche A., 16 anni, finalmente sorridente.
Avevo già notato questa giovane triste ragazza. A. era ancora così spaventata da quello che aveva vissuto durante il suo viaggio che non poteva prendere sonno. Così dapprima mi sono seduta al suo fianco, in silenzio, poi le ho chiesto se voleva essere mia amica. Voleva. Ho provato un’incredibile sensazione di gioia, così profonda che mi ha sorpreso.

Da quel momento, durante i nostri quattro giorni di viaggio dalla zona SAR verso Taranto, l’ho sempre tenuta sott’occhio.

I suoi sorrisi e la sua amicizia erano diventati incredibilmente preziosi per me. A. ha viaggiato da sola per tante settimane. Non ha voglia di parlarne. In realtà non parla, mormora. “La maggior parte di queste ragazze ha subito ripetute violenze sessuali sia in Libia che precedentemente, durante il loro lungo e pericoloso viaggio.” mi racconta un volontario. È difficile riuscire a comprendere con chiarezza come questa apparentemente timida, dolce ragazza possa essere così profondamente ferita.

Durante lo sbarco l’ho persa di vista.  Sono fiduciosa che in Italia riceverà tutta l’assistenza di cui necessita una minorenne.
Dovrebbe essere mandata in una famiglia, avere una mamma, mangiare la pasta e andare a scuola.
Non sono riuscita a non cercarla per l’ultima volta. Era seduta in una corriera blu, diretta chissà dove. Mi ha visto e mi ha salutato quando è partita. Solo allora ho realizzato quanto mi mancasse di già.

Testo: Fleur Le Derff

Traduzione:Francesca Ciardiello

Photo credits:Anthony Jean/SOS MEDITERRANEE

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