Meglio annegare che stare in una prigione libica – La testimonianza

Meglio annegare che stare in una prigione libica – La testimonianza

Testimonianza di Bakhari(*) dal Mali

Questa è la terza volta che Bakhari ha tentato di fuggire dalla Libia lungo la rotta attraverso il Mediterraneo. La prima volta è stato fermato dai cosiddetti “Asma Boys”, una gang di strada libica. La seconda volta, è stato intercettato in mare dalla guardia costiera libica e riportato in prigione. Nel suo terzo tentativo, nel dicembre 2017 è stato salvato dalla nave spagnola Santa Maria e da un natante spagnolo. In seguito, i sopravvissuti sono stati trasferiti sull’Aquarius, che ha condotto lui e altre 372 persone in un porto sicuro. A bordo dell’Aquarius, il team di SOS MEDITERRANEE ha avuto modo di raccogliere la seguente testimonianza, i cui frammenti ci dicono qual è stata l’esperienza di Bakhari nei suoi vari tentativi di fuga.

Cercando di fuggire

La prima volta che provai a fuggire, gli Asma Boys ci intercettarono – sono dei criminali. Le loro navi non sono grandi quanto le navi della guardia costiera libica.

La seconda volta, sono stato intercettato e arrestato dalla guardia costiera libica – è stato circa due mesi fa. È stato in seguito ad un lungo viaggio, poiché erano in corso scontri a Sabratha, così siamo stati portati a Tripoli e al mattino presto, alle 03:00 circa, siamo stati imbarcati su delle navi vicino Al-Chums (**).

Verso le 09:00 del mattino abbiamo raggiunto le acque internazionali, ma uno dei due gommoni partiti insieme aveva un buco.

Con nostra sorpresa, abbiamo visto un elicottero militare volare solo poco dopo. Abbiamo pensato: ‘Adesso stanno arrivando gli operatori umanitari’, ma sfortunatamente erano i libici. È apparsa una nave, abbiamo cercato la sua bandiera – era libica. Non volevamo essere catturati dai libici, così abbiamo cercato di scappare. Anche ieri, con la nave spagnola, avevamo paura che fossero libici.

Quando la nave libica ci ha raggiunti, ci hanno lanciato delle corde affinché le prendessimo, ma noi non volevamo prenderle. Abbiamo provato a scappare ed eravamo tutti molto impauriti. La loro nave ci seguì. Non volevamo mettere in pericolo nessuno, avevamo tante donne e bambini con noi. Ecco perché, alla fine, abbiamo acconsentito di lasciare che ci prendessero a bordo. Nessuno è caduto in acqua – grazie a Dio.


Anche ieri, quando è arrivata la nave spagnola, eravamo molto impauriti, ma in seguito ho detto ad un mio amico ‘Guarda come ci trattano bene queste persone.’ Sulla nave libica non ci veniva data neppure l’acqua. Ci presero a bordo della loro nave, si lavarono le mani e mangiarono davanti ai nostri occhi, senza darci nulla.
La nave libica ci riportò a Tripoli.”

La prigione

Nel porto c’erano organizzazioni umanitarie che registravano i nostri indirizzi. Questo è stato prima di farci salire su un bus che ci riportò in prigione. Ma non erano vere e proprie e organizzate prigioni. Non puoi neppure sederti, tanto sono affollate. Devi salire sopra altre persone per andare da qualsiasi parte. Non ci sono più organizzazioni umanitarie all’interno delle prigioni. E di rado c’è dell’acqua. Venerdì e sabato non c’era neanche l’acqua. E se mai c’è dell’acqua, tu non sai quando puoi averne altra la prossima volta, così la bevi molto lentamente. Una volta, ci hanno dato cinque litri di acqua tutti insieme, e poi nulla per tre giorni, così abbiamo iniziato a bere acqua sporca. Ci hanno dato maccheroni crudi da mangiare.

Alcuni miei amici hanno detto che era meglio annegare che stare in una prigione libica. È dura. Noi rischiamo la nostra vita. Preferiremmo annegare che essere arrestati dalla guardia costiera libica.

In prigione, ci siamo arrampicati da una finestra per fuggire. Hanno catturato uno di noi ed è stato picchiato. Dobbiamo portare i nostri fratelli fuori dalla Libia. Non è un bel paese. Gli arabi fanno ciò che vogliono di noi neri. Come se fossimo ancora schiavi. È fissato nella loro testa, perché i loro genitori e nonni gli hanno sempre detto: ‘I neri sono i tuoi schiavi’. È così che la gente pensa ancora oggi. Se tu cammini lungo la strada, in quanto persona nera, le persone ti chiameranno ‘Kalabou, to prison with you’. Questo fa male. Quando arrivi in Libia ti ritrovi presto traumatizzato.

Sono arrivato in Libia a luglio e ho già tentato di attraversare il mare tre volte.”

(*) Nome modificato dalla Redazione
(**) Homs

Interview/Text: Mathilde Auvillain
Translation: Tiziana D’Acquisto
Review: Stefano Ferri
Photo Credit: Anthony Jean / SOS MEDITERRANEE

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